OSSERVANDO SONORITA’ CROMATICHE SULL’ARTE DI SHUHEI MATSUYAMA
Una luce cresce leggera e impalpabile sull’orizzonte, un bagliore indistinto trapela dal velo increspato della superficie, un suono prolungato nasce dalle vibrazioni della materia: ecco il mondo creativo di Shuhei Matsuyama che si rivela attraverso le opere di questa mostra, pensata come luogo di congiunzione tra il reale e l’immaginario, tra gli sconfinamenti del paesaggio e le misure dello spazio interiore.
Ogni mostra di Matsuyama è infatti costruita sulla lunghezza d’onda del corpo e del pensiero che, insieme, toccano le estremità del visibile e le profondità sconosciute dell’invisibile, sollecitando nell’osservatore uno stato di serenità che coincide con la sospensione del suono sul colore.
Si tratta di un suono che il pittore ricava dalle tracce della materia, che sollecita nella lenta tra­sformazione dell’immagine, come essenza allusiva del colore che si ascolta in silenzio, nell’immobilità del tempo.
Nell’arte di Matsuyama il silenzio della pittura è carico di suoni interiori, è fisicità che non si stacca mai dal corpo del colore, lo insegue infinitamente come pura estensione del sé. È dilatazione sensoriale del soggetto che annulla ogni distanza nell’atto di guardare lo spazio.
L’aspirazione dell’artista è quella di cogliere la verità spirituale dell’immagine sognando l’opera come una zona di luce che contiene tutti i suoni e tutti i colori che sono stati prima e saranno poi, al di fuori di condizioni che non siano riferibili all’amore per la pittura e per la musica. Queste due discipline interagiscono pur mantenendo separati i loro caratteri specifici, sarebbe illusorio credere ad una loro perfetta coincidenza, tuttavia ciò non impedisce di cogliere le complesse sintonie che nascono tra la natura del colore e quella del suono.
Viene in mente una considerazione di Goethe che recita in questo modo: «Come due fiumi che derivano da uno stesso monte, ma che sotto affatto diverse condizioni scorrono in due luoghi del tutto opposti nel mondo, così che nessun luogo singolo può, sui pieni corsi di ambo le parti, venir assottigliato con l’altro, così anche sono colore e suono.»
Il rapporto si pone dunque sul piano di una comune origine che esprime differenti percorsi all’in­terno di una unità fisica e simbolica che è quella stessa della vita e della natura, rispetto alle quali l’opera è il luogo misterioso dove le sensazioni visive e acustiche stanno sullo stesso filo.
Colore e suono, tuttavia, non sono soltanto linguaggi affini ma soprattutto modi di sentire l’esperienza dell’arte come libertà immaginativa, ricerca dell’inesprimibile, acuta tensione percettiva che supera ogni conflitto con la realtà per entrare in armonia con il mondo. La visione della luce èsimile a un grembo infinito in cui l’artista giapponese sprofonda come in una oscurità splendente dove il colore filtra le sonorità del mondo e le assimila nel processo di stratificazione della mate­ria, nella purificazione dei suoi elementi espressivi.
Nelle opere dei primi anni Novanta domina un fluido effetto di luce dovuto all’uso di carte trasparenti che creano andamenti sinuosi e avvolgenti, così che dalle increspature si sprigiona un vento di leggerezza.
Nel corso di quel decennio altre apparizioni prendono corpo sulla superficie insistendo sull’ossessione della linea di orizzonte, ora ben marcata nella materia ora semplicemente allusiva, con un senso di fugace presenza nel vuoto che conferisce allo spazio un valore transitorio.

In effetti, lungo il segno che scava l’orizzonte esaltando la funzione simbolica della linea può essere individuato il percorso variabile del suono che cresce discreto nei luoghi del paesaggio, nel movimento fluttuante dell’acqua, tra le vibrazioni impercettibili dell’aria oppure sulla soglia appena dischiusa delle labbra. In queste opere, concentrate nel percorso di un filo che attraversa il vuoto per ricavarne misteriosi tragitti, si allude sempre ad un altrove, a qualcosa che si pone oltre il visibile, in un diverso rapporto con il mondo rappresentabile.
Matsuyama parla anche del colore come “grido del cuore” e questa immagine poetica indica una tensione spirituale che rappresenta il fondamento della ricerca pittorica contemporanea di segno astratto, è il tramite sottile e persistente che permette al “pittore non figurativo” di cancellare la rappresentazione del reale per essere in sintonia con la parte più segreta di se stesso.
In tal senso, le origini dell’artista giapponese, per quanto si siano modificate attraverso i più significativi esempi della pittura europea e americana (da Turner a Monet, da Klee a Kandinskij, da Newman a Rothko), mantengono inalterate le tracce essenziali dello spazio orientale, quel processo fisiologico del divenire che fa della pittura un esercizio spirituale che non ha limiti, che si fonda non tanto sull’illusione visiva ma su ciò che un’immagine è per quello che è. L’artista non ha mai bisogno di rappresentare qualcosa di preciso, può partire dall’assenza di punti di riferimento per giungere ad esprimersi attraverso gli impulsi del segno che precedono qualsiasi tentativo di organizzare razionalmente la visione della natura.
Nasce così la necessità di leggere le opere di questa mostra come visioni apparentemente separate di un paesaggio totale di cui si colgono molteplici bagliori, frammenti e affinità di ritmi che crescono nell’infinita gamma dei colori: blu, rosso, ocra, verde. Senza dimenticare la funzione decisiva dei valori luminosi del bianco e del nero, il loro reciproco incontro, persino i leggeri contrasti che trapelano in ogni punto delle atmosfere inconfondibili di Matsuyama.
La serie degli Shin-on (i suoni) è attraversata da stati d’animo legati alla frontalità dello sguardo, a flussi di pensieri e di emozioni che sono possibili grazie alla forza di concentrazione del colore che non si blocca in se stesso ma si irradia nell’intensità dello spazio.
L’esperienza del suono rende ancor più acuta la meditazione intorno al valore assoluto dell’immagine, permette di cogliere le relazioni tra la fisiologia del pittore e il respiro del colore, vale a dire tra l’esercizio cosciente del dipingere e la crescita irrazionale delle forme pittoriche.
Se si osservano le opere dell’ultimo periodo si avverte che la dimensione del vuoto, intimamente connessa all’arte di Matsuyama fin dall’inizio del suo lavoro, assume altre consistenze creando rapporti imprevedibili tra il senso della trasparenza e quello della materia, tra la luminosità impal­pabile dei veli carta e l’accentuazione materica della superficie.
Questo scarto avviene soprattutto negli Shin-on più carichi di valori tattili e di spessori cromatici, come è evidente in alcuni esempi del 1997 (97055 e 97056), o in altri dipinti del 2000 (00035 e 001 79), fino ad alcune opere del 2001 come Venezia o Nascita di vino e divino.
Da un lato, l’artista lavora sulla memoria visionaria del paesaggio come luce che scaturisce dalle vibrazioni dell’acqua e, dall’altro, inventa un gioco di parole dove l’ironia non attenua la tensione pittorica ma pone in evidenza l’alchimia del processo cromatico.
Nella maggior parte di questi dipinti prevale il carattere lirico del paesaggio che rafforza la sua visi­bilità attraverso il senso atmosferico del colore, sospeso tra terra e cielo, tra vegetazioni che crescono sotto l’orizzonte e strisce di nuvole che lo sovrastano.
In questi casi Matsuyama abbandona i vapori luminosi dei toni monocromatici e lascia emergere l’immediatezza del colore, la stratificazione dei pigmenti e il valore dinamico delle pennellate.
Quando la pittura si confronta con l’architettura e la ricerca si sposta sul piano delle installazioni, l’artista si affida a colonne dipinte con leggerezza, quasi senza peso, impalpabili, fino a smaterializzarsi nella luce dell’ambiente. La colonna è un modulo spaziale variabile che attraverso diverse altezze permette di creare ritmi simultanei in grado di trasformare lo spazio statico in percorso di eventi dinamici, con la possibilità di creare un nuovo sentimento del luogo espositivo.
Il rapporto che si stabilisce tra l’insieme delle colonne e il corpo dello spettatore non esclude la presenza del suono come sollecitazione non solo del colore ma anche del movimento di chi guarda, con riguardo nei confronti del pubblico che deve essere in grado di avvertire il senso di reciproca necessità tra aspetto visivo e dimensione acustica.
In questo genere di installazioni Matsuyama si sente fortemente impegnato nel definire un progetto estetico, una filosofia dello spazio, dove la pittura rimane al centro di ogni possibile estensione, in quanto il colore, ancor prima di esprimere un pensiero musicale, trasmette energie sensoriali che trasformano la percezione dello spazio agibile.
In questo corpo a corpo con l’ambiente, l’artista mette in atto un tipo di sperimentazione che supera la dimensione interiore della pittura, si tratta infatti di una strategia totalizzante che utilizza le singole opere come strumenti per sollecitare un rapporto sinestetico che prevede contemporaneamente l’azione del senso visivo, della suggestione tattile e dell’evocazione sonora.
Muovendosi in questa direzione, la pittura diventa non solo un esercizio per disciplinare l’imma­ginazione ma un sistema in continua mutazione con movimenti percettivi che avvengono sia all’interno delle superfici dipinte sia negli intervalli tra una superficie e l’altra, in una stretta dialet­tica tra i pieni e i vuoti.
Ciò che apparentemente può essere definito “vuoto” assume un peso visivo e sonoro che è difficile programmare in quanto la posizione dei colori e la disposizione dei suoni è sempre soggetta alla diversa capacità di percezione del pubblico. Ciò che conta, per Matsuyama, non è stabilire un codice di comportamento ma suggerire il fatto che le immagini e i suoni parlano di tempo e di spa­zio in un rapporto che stimola un costante desiderio di conoscenza del mondo e di svelamento —della sua sfera segreta.
Del resto, a chi lo spinge ad interrogarsi intorno al senso del dipingere Matsuyama non risponde forse che esso sta nella ricerca di libertà e di gioia di vivere?
Che sia la pittura, nell’attuale società dominata dallo strapotere della comunicazione, a continuare ad assumersi questo difficile e necessario ruolo mi pare sotto gli occhi di tutti.

Che sia, inoltre, la funzione poetica dell’arte, ben diversa dalle aride applicazioni tecnologiche delle recenti tendenze artistiche, a indicare l’identità ancora possibile del “fare pittura” mi sembra confermato dalla qualità e dalla sensibilità di pittori come Matsuyama. Soprattutto, dall’amore che egli porta verso l’immagine della pura sensibilità, verso la sintesi del pensiero immaginativo che nasce dalla straordinaria coesione di colori e di suoni, per mezzo dei quali l’artista giapponese non si stacca neppure per un attimo dalla luce interiore della sua arte.

di Claudio Cerritelli