MATSUYAMA, KARATE E PITTURA PER TROVARE LA LUCE DENTRO
“Ognuno deve trovare nella vita qualcosa da seguire: se poi trova qualcosa di veramente profondo, dovrebbe poterlo trasmettere agli altri. Anche il percorso più lungo inizia con un passo. Come la natura, che nasce, cresce, fiorisce e poi produce altri semi e appare sempre la stessa pur continuando ad evolvere e a migliorarsi. È questo il solo modo di lasciare, un segno per le generazioni future”.
È un uomo ricco Shuhei Matsuyama. Ricco di quella saggezza orientale che a volte lascia di stucco noi occidentali, testoline complicate in un mondo, a voler ben vedere, “naturalmente” semplice. È un uomo ricco Matsuyama perchè la sua vita è fatta di piccole cose. Che impara e insegna, lui, giapponese di nascita e italiano di Milano per scelta.
“Sono arrivato in Italia venticinque anni fa, spinto dell’amore per l’arte. Questo paese è stato al centro del mondo quando il Mediterraneo era la culla della cultura. In Giappone avevo visto diverse mostre dedicate all’arte italiana, avevo letto molto su Leonardo, Raffaello… Qui in Italia ho appreso un’infinità di cose, nuove che hanno giovato al mio spirito, ma devo al Giappone l’esperienza e lo stimolo che mi consentono dì esprimermi con gioia nella vita, che altro non è se non arte”.

Cosa significa per lei praticare karate ed essere contemporaneamente pittore?
“Tutta la mia vita scorre tra arte e karate. Il karate costruisce la mia costanza. Mi dà la forza di affrontare la vita. Ogni movimento di karate è l’espressione di un’energia. E la pittura è estensione dell’energia interna, il Ki. Che mi permette di comunicare con il prossimo.”

Lei è maestro di karate e non allenatore. La differenza?
“Il karate per me non significa vincere contro un altro. Karate è disciplina. È una tecnica non di attacco ma di difesa. Negli allenamenti non si tocca mai l’avversario e si sa che certe mosse possono essere mortali. Karate, quindi, è autocontrollo, è l’arte di scoprire se stessi, i propri limiti o lati oscuri del carattere. Profondamente. Quindi: l’allenatore crea l’atleta, il maestro compie una ricerca continua. infinita, all’interno del suo ‘io’. A dir la verità, ero anche allenatore di baseball, in Giappone, Da noi è il baseball lo sport più popolare. Dopo la seconda guerra mondiale il mio paese è stato stravolto, americanizzato. Ci siamo occidentalizzati pur essendo orientali”.

L’arte è un dono che tutti noi possediamo?
“Certo. Solo che a essa si giunge attraverso le strade più diverse. Pensi alla cima una montagna: quando si sale non si vede altro che la propria strada, ma quando si è in cima si ha la visuale completa. Le strade sono diverse, ma il punto di arrivo comune è l’arte. Il mio percorso è rappresentato dal karate e dalla pittura: mi servono per raggiungere la cima. Ciascuno di noi devo essere capace di tirare fuori la sua ‘arte’. C’è chi ci riesce con la musica, chi con la penna, chi con il pennello…”.

Cosa esprime la sua arte?
“I colori della positività, della tranquillità. Il mio maestro è Monet. Luce, ombra e aria: è poesia”.
Ha partecipato spesso alla Biennale di Venezia…
“Ho cominciato nel ’93. Ho Proseguito nel ’95, ’97 e 2001. E adesso mi preparo per il 2003. Nel frattempo sono pronto per altre mostre: una è già aperta a Santa Margherita Ligure. Dal 7 maggio sarò a Milano, alla Fondazione Museo Luciana Matalon. A giugno tornerò in Giappone, a Kobe, poi a Tokio. E a novembre sarò a Udine”.

Maestro, ha un sogno nel cassetto?
“Con i miei quadri vorrei creare un cerchio grande quanto la Terra. Come tanti puntini che finiscono per abbracciami e diventare una linea”.

di Donatella Tretjak