SHIN-ON, IL SUONO DEGLI OCCHI
Nel quadro delle ricerche che io mi sforzo di mostrare a chi ha interesse a guardare dell’arte anche l’aspetto….artistico, mi sarebbe sembrata una notevole dimenticanza non prendere in esame anche una scuola tanto differente dalla nostra come è quella giapponese, basata su una cultura e una società che consente punti di vista e di considerazione completamente differenti dai nostri, e quindi di assoluto interesse per una più ampia visione culturale per chi ama sapere, essere informato. Del resto la stessa lingua, il modo di dialogare delle persone, la scrittura che è di per se stessa una forma artistica, tutte le innumerevoli regole cerimoniali che accompagnano la vita dei giapponesi, regole che hanno sempre differenti significati che nascono a loro volta da una serie di ragioni, regole che non vengono cambiate malgrado il Giappone sia forse oggi il paese più avveniristico del mondo, dal punto di vista delle soluzioni ambientali e della organizzazione sociale, ma anzi vengono gelosamente conservate perché parte essenziale, indiscutibile, dell’anima di questa civiltà così avanzata e così conservatrice allo stesso tempo, lo stesso modo di porsi dinnanzi ad un problema, ad un avvenimento, l’insegnamento della storia, l’approccio alla natura, la sacralità del lavoro ecc. tutto questo fa del Giappone e della sua cultura il simbolo della calma filosofica, delle sottigliezze mimiche, della sofisticazione dello Zen. E’ quindi ovvio constatare che l’espressione artistica di un giapponese rappresenta qualcosa di differente da quella di un italiano o di uno svedese. Questo vale naturalmente anche per l’arte cinese e per quella indiana, delle quali spero di poter presentare un giorno qualcosa di interessante, così da poter rispettare la mia idea iniziale, di quando ho aperto questo spazio voglio dire, che era di fare sopratutto della cultura perché l’arte è un fatto culturale e, indipendentemente da tutti gli interessi che muove, come tale deve sempre essere considerata, se si vuole amarla veramente, e comprenderla.

E quindi eccomi con un’artista giapponese di buona considerazione, un’artista che divide la sua esistenza fra il suo paese, che rappresenta benissimo per cultura e tradizioni, e il nostro. Un uomo con il quale ho sempre avuto molto piacere a discorrere perché il suo essere e assolutamente diverso dal mio, così maledettamente impaziente, pragmatico, “occidentale”, e questo crea in me un interesse particolare, non solo per l’artista ma anche per l’uomo.

Per parlare del lavoro di Shuhei Matsuyama occorrerebbe innanzi tutto consigliare di non fermarsi alla sola impressione visiva, all’emozione dell’opera considerata fine a se stessa, come del resto dovrebbe(potrebbe) anche essere logico, per la regola tutta nostra che un’opera d’arte non dovreb-be contenere messaggi. Questo perché la prima impressione, guardando da occidentali, viene direttamente, come è capitato anche a me, da un giudizio assolutamente estetico delle opere. Grave errore, perché in queste opere il segno, il colore derivano da matrici letterarie, poetiche, filosofiche. Qui siamo di fronte ad una massa d’acqua che se è ferma vuol dire una cosa, se ha un lieve movimento ne vuoI dire un’altra e se ha un movimento più visibile ne dice un’altra ancora, e tutti i significati possono poi cambiare a seconda della direzione del movimento, dell’intensità di colore della massa e così via. Si tratta di un sofisticatissimo rincorrere cose che stanno ferme, immobili da tempo infinito, ma che non si riesce ad afferrare perché altrimenti sarebbe troppo logico, e quindi questo rincorrere viene disegnato, e segnato, affinché si riesca a tracciare una connotazione possibile per i nostri sensi limitati, per cui viene spontaneo, a chi come noi non possiede il senso orientale di osservare, di limitare il tutto alla emozione che viene dall’occhio. Qui abbiamo un suono, Shin-On, che viene da fonti accese migliaia di anni fa, un suono che nessuno di noi può evidentemente aver mai sentito, ma che pure è nato, è esistito e ancora percorre l’infinito e oggi viene rinforzato dal suono nuovo di queste opere. Quale di questi suoni, tutti espressi con l’identica fonetica, Shin-On, esce da queste opere? Non è forse Shin-On il suono del cuore, oppure il suono vero, oppure il suono fluttuante o quello profondo o quello degli dei? Quanti suoni esprime Shin-On in questa lingua che sembra dura alla pronuncia, ma che esprime situazioni di così alta poesia? Dieci, venti, non ha importanza. Perché tutto ha un suono, per un orientale, un disegno e una pietra hanno un suono, un albero, una stella e un tramonto hanno un suono. Alla prima enunciazione Shin-On seguirà quindi una serie di chiarimenti fino a che non sarà trovata 1’ identificazione perfetta: perché questo è il modo assolutamente giapponese di indagare, e perché in queste opere è teoricamente contenuta l’origine del suono, e praticamente il suono può essere visto, perfino udito.

Ma per noi è differente. Io penso che difficilmente sarà per noi possibile entrare in atmosfere così prive di materialità, perché la nostra anima occidentale fatica a camminare in assenza degli usuali punti di riferimento, si spaventa della rarefazione emotiva e quindi ci accontenteremo di stare a quello che ho denunciato prima come errore ma che, in definitiva, ci permetterà di apprezzare anche le indubbie qualità artistiche del nostro artista. Ci terremo dentro questi significati orientali che stanno in queste opere e, se ne appenderemo una nella nostra casa, ogni tanto la “ascolteremo” per cercare di carpire il segreto di questi suoni, Shin-On, che queste opere esprimono. Perché questi suoni esistono: assolutamente, definitivamente. Ho avuto su questo spiegazioni lunghissime e interessantissime, che voi mi scuserete se non riporto in queste righe, perché avrei dovuto scrivere un libro anziché una semplice presentazione….

di Enrico Gariboldi