SHUHEI MATSUYAMA – SHIN-ON: LA VISIONE DEL SUONO
La questione di rapportare l’arte visiva alla musica, di far derivare cioè le immagini del Suono, ha conosciuto nella ricerca artistica europea di questo secolo esperienze di grande importanza formale.
All’inizio di questo straordinario ciclo di dipinti, nel 1993, scrivevo tuttavia che “la proporzione immaginativa dì Shuhei Matsuyama rappresentava visivamente le molteplici significazioni del che ‘ideogramma ha specificato nella scrittura e nella cultura giapponese”.
Si trattava dunque di una ricerca diversa da quella europea, sia nei modi che negli esiti formali.
La ricerca dell’artista si è sempre manifestata nel particolare segno di una
“silenziosa rappresentazione del suono” – peraltro concretamente partecipe nelle cinque mostre su questo tema allestite a Venezia in circa un decennio – affidata a materiali (la carta d riso, ad esempio) e ad una concezione riflessiva (l’orizzonte del suono. per citare una sola cosa) tipicamente orientali.
Mentre infatti la “linea centrale” dei suoi dipinti indicava “un sopra ed un sotto” della percezione del suono, come due livelli sensitivi di ascolto, i grumi e gli accumuli della carta dì riso ne testimoniavano invece “gli strappi e le lacerazioni”, quelle che con altre parole potremmo definire le “dissonanze”.

Se non propriamente comprensibili ad una prima occhiata, queste caratteristiche dell’opera di, Matsuyama venivano tuttavia percepite anche da un osservatore occidentale disposto a lasciarsi prendere emotivamente da una visione immaginativa estremamente accattivante e fortemente coinvolgente.
I più recenti lavori dell’artista giapponese – anch’essi ispirati o determinati dallo , -presentano tuttavia caratteristiche nuove che confermano un più complesso momento dì riflessione ideativi che molto semplicemente potremmo definire di “ascolto diffuso e avvolgente”.
Accade infatti che i nuovi dipinti di Matsuyama non presentino più la struttura determinata dalla “linea dell’orizzonte del suono” ma, al contrario, appaiono determinati da una occupazione completa ed imparziale dello spazio, reso così pienamente ed unitariamente significativo.
Si potrebbe perfino dire, per certi versi, che le sue immagini siano divenute apparentemente più “naturalistiche” e che il suono che esse “rappresentano” è dunque quello segreto della natura, quello persistente del mondo, senza alcuna fonte precisa, diffusa ed avvolgente, per l’appunto.
E’ difficile dire se tutto ciò rappresenti un punto di arrivo o di partenza nella ricerca o Matsuyama. ma e evidente che da un punto di vista strettamente pittorico questi lavori configurano una elaborazione ideativamente più complessa che perviene ad esiti formali dì rinnovato interesse.
Si potrebbe invece dire che in qualche maniera l’autonomia della pittura ha sopravanzato la difficile ed ansiosa ricerca della rappresentazione visiva del suono che caratterizzava i precedenti lavori.
Per la verità anche all’inizio del ciclo abbiamo sempre parlato della prevalenza del valore della pittura sulla rappresentazione nell’opera di Matsuyama, perché dicevamo allora, “la poesia non si fa con i sentimenti o con le intenzioni ma con il linguaggio”.
La grande tempera di Matsuyama ha dipinto in questa occasione e che costituisce il punto focale della mostra, non presenta più punti di riferimento visibili e riconoscibili per “l’ascolto del suono”, che appare dunque come disperso in una visione che potrebbe apparire perfino di origine paesaggistici. In realtà questo grande dipinto non ha molto a che fare con la natura e sembra piuttosto un’accesa visione “turneriana”.
E dunque la questione della luce – peraltro centrale in tutta la storia dell’ari occidentale – che adesso entra prepotentemente in gioco nell’opera Matsuyama, Forse perché questo ciclo d. dipinti è nato ancora una volta per Venezia, il luogo del mito dove il grande Turner scopriva nel 1819 il segreto della forma che dissolve nella luce diffusa riflessa dall’acqua, imparziale e senza ombre.

La musica assume allora, nell’opera più recente di Matsuyama, la connotazione di un nuovo pretesto immaginativo che l’artista giapponese utilizza per un percorso che potremmo definire “dal colore del Suono alla luce del suono”.
Più semplicemente e evidente che il suo itinerario è quello che in definitiva “dalla pittura alla pittura”, perché la sua attenzione è volta sostanzialmente all’apparizione di un evento visivo formalmente autonomo e prima di allora inesistente.
Un evento né descrittivo né narrativo, antimimetico di alcunché, che non e conto dei segreti riferimenti ideativi di cui si avvale.
Ma forse è proprio in questa sorta di “sacra ambiguità dell’immagine” che risiede il fascino di una lirica proposizione immaginativa che non ha a che tare coni quotidiano ed il reale.
E che persegue invece l’utopia di far vedere – o forse sentire ed ascoltare – è invisibile, come per l’appunto e’”il suono dell’arte”.

Enzo Di Martino
Venezia, maggio 2001