PER SHUHEI MATSUYAMA
Con concentrazione laboriosa e distillata, carta su carta, veli di colore d’acqua su velo, crescono le nuove pitture di Matsuyama. Crescono nell’awertimento lucido e sereno del tempo della formazione, e in una condizione affettiva e intellettuale in cui il pensiero è il gesto, e la mozione espressiva è il processo genetico dell’immagine.

Da anni, il tema attorno al quale Matsuyama svolge il suo percorso poetico è Shin-On, il suono, nelle mille epifanie in cui la mente e i sensi lo awertono. È un suono di cui l’artista mira a una scrittura, a un inveramento sul piano dell’esperienza visiva: per via di atmosfere, di equivalenze emotive, di scorrimenti simbolici: soprattutto, di vibrazioni estetiche.

In passato, il riverbero di un tracciato assiale, in grado di intonare del suo svolgersi di variante microemotività, come per concentratissima sismografia, la tessitura superficiale, mirava a porre in tensione la pelle dell’immagine, a dirne un’evidenza assertiva appena irritata dalle rifrazioni luminose delle stratificazioni della carta.

lì colore vi era svolto per tonalità disagiate, per scarti brevi e dissonanti, che mantenevano l’aroma della evocazione naturale, ma tendevano a una qualità disagiata, d’artificiosa e non compiaciuta bellezza.

Ora, con il ciclo ultimo di opere — ancora accompagnate da un corresponsabile commento musicale —Matsuyama tenta una partita ancor più complessa.

Da un lato, egli tende ad affrontare più direttamente la componente — la voglia — naturalistica della sua immagine, e ad accogliere la fervida ambiguità della sovrapposizione tra la linea corrente, con le sue risonanze
grafiche e cromatiche, e l’idea dell’orizzonte. Sempre meno assiale e sempre più abbassata, a schiudere alla visione un cielo pittorico straniato, tale traccia nasce ora, più che per decisione lineare, per differenziale cromatico, per scarto di qualità tonale. È, ora, una sorta di soglia, di border/ine energetica, in cui si intersecano profondità diverse: profondità che dicono, attraverso le gradazioni del colore, lontananze, e poetiche suggestioni cosmiche: rimemoranti, sia detto per non banale esotismo, i grigi, i rossi, i celesti lontani di Hokusai.

A tale più accentuata mozione naturale corrisponde, nel tempo recente del lavoro di Matsuyama, la volontà di espandere l’area di incidenza dell’operazione pittorica oltre le sue forme canoniche.

La serie di pannelli di ostentata verticalità, a far da quinta anche fisica della visione e da “pascolo” del suo tempo di lettura, i cilindri che rimbalzano all’esterno, nello spazio d’esperienza, la tensione radiante dell’immagine: e gli archi, le ogive: tutto, ora, concorre in Matsuyama verso una complessiva qualità ambientale dell’operazione pittorica (il rapporto con la colonna musicale vi si fa, così, assai più stringente), con precisa consapevolezza di integrazione architettonica.

L’atmosfera, dunque, la qualità sonora dell’immagine, si svolge da dentro a fuori la forma pittorica vera e propria, senza che essa se ne snaturi: è un micromondo, parte di altri, concatenati e congruenti, micromondi.

Matsuyama, infine, riesce a concertare per lo spettatore una omogenea e sospesa condizione affettiva di lettura: per chi lo voglia, una condizione effettivamente meditativa.

di Flaminio Gualdoni