L’ORIZZONTE DEL PITTORICO SONORO: LO SHIN-ON DI SHUHEI MATSUYAMA
Non esiste una buona pittura del nulla. Noi affermiamo che il soggetto è cruciale e che soltanto la materia è un soggetto valido, aspetto tragico e senza tempo. Barnett Newman, Adolph Gottlieb, Mark Rothko.

Sin dall’inizio, quando ho dovuto spiegare il significato di Shin-on, ho sempre detto che è una sorta di grido del cuore, un’espressione in sintonia con il sé. Si tratta in effetti proprio dell’espressione delle vibrazioni o dell’energia interne dell’autore e della sua opera, forse la vera espressione del suo spirito. Shuhei Matsuyama

Il problema ricorrente di tutto il XX secolo è, senza dubbio, la fine della pittura o, per meglio dire, la fine dell’arte. Vari manifesti hanno a più riprese decretato la morte dell’una o dell’altra. Eppure, come la fenice, la pittura rinasce sempre dalle sue ceneri. Nel corso degli ultimi venti anni, si è assistito all’apparizione di movimenti quali la nuova figurazione, il rinnovamento di un’astrazione geometrica, i situazionisti e le tendenze critiche e meta-ironiche che riportano al gusto moderno la tradizione pittorica. Contemporaneamente è fiorito e si è consolidato un diverso e singolare rapporto con l’immagine attraverso nuovi media; la fotografia e il video si sono imposti in un momento in cui l’emergere del digitale ne permette la totale trasformazione. Nuove scritture compaiono, traducendo così dei progetti multimediali in opere che abbandonano la superficie piatta del muro, per ottenere una presa totale sul loro ambiente, incorporando le dimensioni dello spazio, del tempo e, talvolta, persino del suono. Mai prima erano stati mobilitati tanti mezzi in ogni installazione e progetto artistico. In un tale contesto, come ci si può avvicinare alla pittura di Shuhei Matsuyama? Quando un artista dispone di tanti mezzi, la sua fedeltà e persistenza nell’esplorare un territorio pittorico che inglobi lo spazio e il tempo, aprendosi al suon fino allo sconfinamento nello spirituale, riportano all’interrogativo sulla possibilità di dipingere nel XX secolo e alle svariate tradizioni che ne ispirano l’esecuzione. Nel corso degli ultimi venti anni, mentre l’arte contemporanea cambia radicalmente, Matsuyama sviluppa una pittura che si potrebbe qualificare come un nuovo romanticismo pittorico. Forse è la sua condizione di uomo tra due universi, l’orientale e l’occidentale, che gli permette di esplorare questa via, insieme pittorica e spirituale come fosse la prima volta. Tutte le opere realizzate nel corso di questi ultimi anni, e raggruppate sotto il nome dell’idiogramma giapponese Shin-on rappresentano il tentativo, paradossale a un primo approccio, di sintetizzare due esperienze in seno alla sua arte: quella della pittura e quella del suono. Per l’artista Shin-on sarebbe la pittura come orizzonte visivo della sonorità; si tratta, dunque, di una sfida di sintesi e d’equilibrio di due universi, incompatibili a priori, che egli tenta di far emergere in ogni opera: il silenzio intrinseco della tela e le sue possibili aperture verso la dimensione del suono; il suono – e non lo si può concepire che nel suo scopo più alto, quello di una musica trascendente, spirituale – e la sua rappresentazione visiva. Questa ricerca continua lo obbliga a moltiplicare all’infinito le sue opere. Variazioni, dunque, intorno a un tema, ricerca della perfezione spinta fino al limite estremo, l’opera di Matsuyama si sviluppa organicamente. Se attraverso il tempo le sue pitture possono manifestare delle differenze evidenti, ma sottili, di contro non si troveranno dissonanze stilistiche o programmatiche nell’insieme della sua produzione.
La pazienza e la tenacia nel moltiplicare le tele, una dopo l’altra, al fine di avvicinarsi ogni volta un po’ di più al proprio ideale, sono le qualità di questo artista, nato in Giappone, ma trasferitosi in Italia ormai da molti anni. La sua sensibilità e le sue possibili fonti rappresentano anche una sintesi dell’incrocio di questi due universi che egli racchiude in sé.
Se è possibile qualificare la sua pittura come un nuovo romanticismo pittorico è perché essa sembra inglobare sia le lezioni dell’arte orientale, sia le conquiste dell’avanguardia occidentale del ventesimo secolo. Dell’arte orientale egli conserva il senso della precisione del gesto legato alla liricità della mano; dell’occidente la libertà della forma e i giochi formali in quanto portatori di valori trascendentali. Dal loro incontro nasce un’opera che in alcune parti ricorda i paesaggi più astratti di Monet, la calligrafia orientale e tutta una generazione d’astrattisti informali passando per Caspar David Friedrich e Turner. La premessa dell’artista giapponese è che tutto è Shin-on, suono, e la sua pittura diventa la materializzazione visibile di quest’idea. Ciò segna un punto di partenza radicalmente diverso dalla tradizione pittorica occidentale, se pensiamo che uno dei dogmi della cristianità afferma che tutto è luce. Per cristallizzare la sua visione, Matsuyama parte dall’udito e ci rinvia ai dibattiti dei circoli simbolisti della fine del XIX secolo, influenza che si farà sentire attraverso tutto il XX secolo per mezzo delle nozioni della sintesi, della sintesi delle arti e dell’opera d’arte totale.
La sintesi esplora questi legami sottili della percezione che rendono possibile far riferimento a un colore o a una forma, un odore o un sapore. È l’esacerbazione dei sensi nei quali tutte le percezioni si rimandano l’una all’altra in un fuoco d’artificio sensoriale. La sintesi delle arti può essere fatta storicamente risalire alla teoria e alla pratica di Richard Wagner. Il compositore cerca di elevare e rinnovare l’opera attraverso la fusione di tutte le arti, insieme, tra altri, di Schelling e di Schopenhauer, e riflette l’ideale baudeleriano delle corrispondenze; la sintesi delle arti sfocia nel dramma scenico dove la somma delle arti ne supera l’individualità. L’altro versante, per ottenere un’opera d’arte totale, sarebbe storicamente legato a Mallarmé, il quale, interrogando unicamente il linguaggio fino alla radice più profonda della specificità poetica, si avvicina alle distinzioni tra i generi artistici stabiliti da Lessing nel suo celebre Laocoon (1766-1768). Lessing vi espone uno dei principali temi della critica moderna, ossia la specificità delle arti. Egli condanna la retorica classica dell’ut pictura poesis che voleva fondare una concordanza delle arti, ove la pittura potesse essere considerata come una poesia nello spazio e il poema come un’immagine mobile. Lessing inaugura un approccio formalista nel quale si pone la questione della demarcazione di ogni arte al fine di raggiungerne l’essenza pura. Se questi due approcci teorici, quello della sintesi delle arti e quello della loro distinzione specifica, possono essere concepiti come opposti, essi si uniscono nello scopo dell’opera d’arte totale che affonda le sue radici in una sorgente originale delle arti, una specie di centro della creazione. Pertanto, questa sorgente originale dell’arte sarebbe raggiunta per due cammini antagonisti a priori, quello della sintesi delle arti e quello del formalismo radicale. Lo Shin-on si troverebbe così all’incrocio tra oriente e occidente, tra due storie e tradizioni distinte e tra due modalità di risoluzione di un ideale estetico. Lo spazio sonoro generato dal visivo e viceversa è l’idea illustrata nella famosa poesia Corrispondenze di Baudelaire; egli riassume in sé questo arcipelago di interconnessioni possibili tra i vari sensi. In seguito, in maniera più radicale, Mallarmé, in Un coup de dès n’abolira jamais le hasard andrà oltre tale relazione incorporando la tipografia e il bianco della pagina come elemento portatore di un ritmo, di una temporizzazione della poesia come se si trattasse di una partitura. L’altro estremo di questa aspirazione, come già segnalato più sopra, è rappresentato dall’ideale wagneriano del Gesamtkunstwerk, la sintesi di tutte le arti per arrivare all’opera totale.
In Wagner, contrariamente agli artisti che esplorano una singola arte per arrivare alla fonte comune a tutte le arti, l’idea è di fatto quella di far coincidere sulla scena la riunione di tutte le arti per giungere a un’opera trascendente nella quale tutte le individualità artistiche siano superate dalla loro unione. Questo clima artistico e spirituale avrà una grande influenza, tra gli altri, su due
protagonisti della modernità: Wassily Kandinsky e Paul Klee. Tutti e due hanno sviluppato, tanto nei loro scritti teorici quanto nella pratica artistica, l’idea della sintesi delle arti e, in particolare, quella del sostanziale rapporto che lega la musica alla pittura. Non dimentichiamo che Paul Klee era tanto un buon musicista quanto un buon pittore. Kandinsky, da parte sua, rievoca i suoi primi stupori estetici nell’incontro da una parte con la musica di Wagner e, dall’altra, con la pittura di Monet. Questi maestri fondatori dell’avanguardia moderna hanno istituito e legittimato l’arte astratta in questo rapporto con un ordine superiore al sensibile che sarà quello della musica. Questo clima si traduce nelle loro opere ma anche nei loro scritti teorici e in pubblicazioni come “Der Blaue Reiter” e si diffonderà, grazie al loro insegnamento, in seno al Bauhaus. Ciò che è sempre presente in modo latente in queste teorie è la liberazione della forma e in particolare l’abolizione della figurazione come mezzo per aprire il contenuto sensibile del colore solo allo stesso livello d’intensità e ricchezza che possono suscitare il suono e la musica. Ciò che le arti visive formulano in questo momento storico ricerca spesso le proprie basi in tesi d’ispirazione pitagorica. In effetti, si potrebbe risalire alle fonti di questo interrogarsi sul concetto di un ordine superiore nell’eco che la geometria pura e la musica, suo pendant, trovano nell’ordinamento armonioso del cosmo. In tal senso questa dimensione ontologica, se non addirittura sacra, deriva dalla ricerca dell’uomo di un ordine superiore, divino o in cui la perfezione sia immanente.
La tematica dello Shin-on in Matsuyama è di questa natura. Stabilisce quel sottile rapporto tra il visivo e il sonoro in cui l’uno rimanda e suggerisce inevitabilmente l’altro. Le superfici accidentate e ricche di materia dei suoi quadri possono essere viste come una partitura da decifrare nell’intimo. L’eco dei suoi quadri rimanda alla nostra sonorità interiore e individuale. Nell’intimo dello spettatore nasce il delicato equilibrio tra le possibili fonti d’ispirazione tanto pitagoriche quanto taoiste e zen. Tutta l’arte di Matsuyama sembra fondarsi sulla temperanza di questi due poli; sembra poggiare sull’equilibrio e la complementarità di universi differenti, equilibrio essenziale, riflesso anche dalla nozione complessa di Ying e Yang; due entità inseparabili l’una dall’altra in una correlazione intensa, dinamica e infine armoniosa. In fondo, ciò che accomuna queste due filosofie, quella orientale e quella occidentale, è proprio una fiducia nei legami essenziali che uniscono e permettono la comprensione deduttiva del microcosmo rispetto al macrocosmo; di come l’uno rifletta l’altro, e viceversa. Così la perfezione e l’equilibrio possono trovarsi nell’atomo più elementare, in una tela dipinta, nell’armonia dell’uomo e infine nell’ordine dell’universo. È in questa prospettiva che la ricerca di perfezione di Matsuyama è una ricerca spirituale che passa per la pittura e il suono, è una ricerca per giungere a un’armonia più grande, a dissigillare la musica celeste in ogni sua minima variazione, così che si comprendono anche le sottili variazioni tra le sue opere come scale intorno a uno stesso ideale, sempre rinnovato, mai totalmente soddisfatto, un ideale che costringe a ricominciare sempre. I quadri di Matsuyama, nel loro silenzio, si presentano come delle partiture da leggere, da far vivere. Così c’impegnano e costringono lo sguardo ad attivarle con tutti i nostri sensi; lo sguardo invita lo spirito a scoprirle, a percorrerle come un paesaggio. I loro colori sottili, che declinano spesso la gamma di un solo e unico colore; il verde, gli ocra, i blu, i rossi. Dei colori quasi puri – senza mai aspirare però alla monocromia -, declinati in un arcobaleno tutto loro. Questi quadri ricordano l’ossessione di Monet nel suo sforzo di fissare l’acqua, l’aria, la natura nella sua instabilità istantanea. Se Monet elabora l’arte più sofisticata e senza dubbio anche la più intima cercando semplicemente di cogliere l’attimo, se moltiplica il numero delle sue tele per essere più fedele possibile ai minimi cambiamenti del suo soggetto, sia esso l’atmosfera davanti all’immutabile cattedrale di Rouen o il ciclo delle stagioni nel suo giardino d’acqua di Giverny, similmente Matsuyama tenta di cogliere dei paesaggi interiori nelle variazioni e moltiplicazioni degli stati d’animo ai quali possono rimandare. Più di un’opera di Matsuyama fa eco direttamente all’opera di Monet. Penso in particolare alle opere Shin-on del 1996 (micro-mondo) dove il formato quadrato e il tondo perfetto rimandano tanto formalmente quanto nei loro colori alle ninfe di Monet di cento anni prima. Nelle sue tele il mondo vegetale e acquatico sembrano fusi nell’indiscernibile, proprio come Monet che focalizzando il suo punto di vista a strapiombo sulla vasca faceva scomparire ogni riferimento spaziale per creare un continuum infinito. Se un secolo separa questi due artisti di orizzonti così diversi, il confronto appare tanto più giustificato e pertinente per il fatto che Monet era particolarmente sensibile all’arte giapponese. Non fu forse uno dei primi ad abbracciare il giapponismo e uno dei grandi collezionisti di stampe giapponesi del suo tempo? E più in profondità, è nel rapporto che Monet ha con la natura, nella sua aspirazione, da lui stesso insospettata, di ritrovare un’armonia primordiale, essenziale, universale, che il percorso di questi due artisti si può congiungere al di là del tempo e delle tecniche. La tenacia di Monet nello strappare al suo celebre giardino d’acqua i suoi segreti invisibili ne fanno uno dei precursori dell’astrazione del ventesimo secolo. Se i colori di Matsuyama rinviano spesso, come si è visto, al mondo vegetale e acquatico, altri casi, come Shin-on, il suono della fede, 1999
(cat. p. 122) evocano piuttosto il mondo minerale. Alcuni quadri declinano chiaroscuri d’ocra e rinviano alle rocce, particolarmente care agli orientali perché nei sedimenti che le costituiscono è possibile leggere paesaggi immaginari. Così in questa tela, in cui le diverse gradazioni di ocra, inframmezzate da una sottile linea rossa, ci fanno pensare a quegli scabri ciottoli millenari che si trovano nelle spiagge del Pacifico, scintillanti nella loro assolata umidità. Altri dipinti di questa stessa serie evocano i tagli di una cava, o mettono in evidenza delle incrinature simili a quelle del marmo lattiginoso. Ancora una volta, è senza dubbio all’opera uno spirito giapponesizzante. E nel rapporto con i giardini giapponesi di meditazione e con la ricerca del nesso tra un microcosmo e il macrocosmo che trae tutto il suo senso questa attenzione per il minerale. La geometria naturale del mondo minerale, dove s’insinua spesso l’imperfezione capricciosa e fantasiosa di una vena o di una fessura, conferisce a ogni pietra il suo carattere unico e in questa scoperta lo spirito della roccia s’intrufola con ciò che si può rivelare come la sua personalità individuale. Anche nella loro somiglianza familiare, ogni tela è unica. Come abbiamo già evidenziato, i quadri Shin-on sono lungi dalla monocromia. Si declinano entro gamme di colori per la maggior parte inframmezzati da una linea che diviene il segno strutturante della pittura. Questa incrinatura è d’ordine simbolico ed è lontana dai tagli radicali introdotti da un Lucio Fontana negli anni cinquanta. Storicamente Fontana ha introdotto nello spazio monocromo del dipinto il taglio come un atto fisico. Il gesto difendere la tela apre così lo spazio della rappresentazione pittorica verso una distesa misteriosa, verso un punto di fuga tangibile al di qua della pittura. Il quadro diventa quasi una scultura tanto è presente la parte al di là della superficie pittorica. È un abisso aperto sulla tela, un abisso nel quale lo sguardo si avventura in una dimensione diversa da quella della tela e del quadro.
Senza ricorrere a un taglio fisico della tela, Matsuyama articola i suoi quadri in rapporto a una linea-segno che marca la stessa nella sua larghezza. La linea, rivelata da contrasti di materia e colore, seziona spesso il quadro orizzontalmente, creando l’illusione del paesaggio. Se l’incrinatura che Matsuyama introduce nella sua pittura è ben lontana dal Fontana, essa rivela ancor più la visione eroica di una delle figure chiave dell’avanguardia americana degli anni cinquanta: Barnett Newman.
Il fondamento dell’opera di questo artista può essere rintracciato nel quadro Onement I, del 1948, della collezione del MOMA di New York. È in questa tela che si trova per la prima volta ciò che sarà l’elemento determinante e strutturale di tutta la sua opera: lo “zip “ questa linea che, ormai, demarca e organizza verticalmente tutti i suoi componimenti. È nella sensibilità di questa linea tremolante, in questa sensazione di rottura introdotta tra il piano e la superficie che la pittura diventa domanda e che appare manifesto tutto l’elemento spirituale della sua ricerca.
Newman e i suoi contemporanei e amici Rothko e Pollock vengono spesso considerati come gli ultimi di una lunga serie di appartenenti al romantico eroico. Vi è in essi un senso del sublime che li lega, al di delle differenze, in un ethos comune. Ed è in questa appartenenza che si può, indubbiamente, ricollegare l’opera e l’ispirazione di Matsuyama. Se le sue tele evoca piuttosto dei paesaggi nel loro ritmo orizzontale, si tratta chiaramente di paesaggi spirituali, interiori e, dunque, di un atteggiamento post-romantico.
Pertanto il suo gusto per la concatenazione degli scopi e per i sottili giochi delle materie vengono ad aggiungersi alle delicate combinazioni di colori e ci fanno pensare meno a dei paesaggi che cambiano secondo le stagioni e più alle emozioni intime che possono suscitare in noi. In questo senso si ritrova in Matsuyama uno slancio che talvolta ricorda certe opere di William Blake o le viste cosmogoniche di un Turner. In questa ricerca per raggiungere la sonorità della pittura o il pittor del sonoro, Matsuyama supera la ristrettezza di queste categorie per attingere la sua forza da una sorgente comune alle arti e appoggiarsi a ciò che si potrebbe ormai chiamare un nuovo romanticismo pittorico che aspiri a un orizzonte atemporale dove le diverse categorie saranno riconciliate.

Julian Zugazagoitia