IL SUONO DEL COLORE, IL COLORE DEL SUONO
La sua è la pittura della percezione, quella capacità del nostro essere di ricercare il rapporto ideale fra noi stessi e la natura, attraverso l’attività dei nostri sensi.
È così che le opere di Shuhei Matsuyama ci sollecitano, più inconsapevolmente che conscia-mente, alla visione “calibrata”, alla ricerca oltre il colore e la forma, dell’essenza stessa della composizione, la “vita” che c’è dentro. E che cos’è la vita se non immagini, suoni, aromi, profumi, movimento? Ecco dunque che l’interpretazione dei colori, delle forme, della ragione dei quadri dell’artista giapponese necessita dell’attivazione dei nostri sensi, il mettere in movimento il nostro essere alla ricerca del tracciato esplicativo. In fondo, il fascino dell’astrattismo di Matsuyama sta nel vederci ciò che ci si vuoi vedere in base alla propria sensibilità, alla nostra predisposizione ed al nostro intuito, lì quarantenne pittore nipponico, milanese d’adozione, è consapevole di ciò ed evita di lasciare segni che possano indurre l’osservatore alla percezione della conclusione dèl quadro che, al contrario, rimane aperto, vivo, epperciò mutevole, proprio come le nostre percezioni.
Non a caso le mostre del maestro Matsuyama sono accompagnate dalla trasmissione di suoni (musiche che altri artisti scrivono ispirandosi ai suoi quadri, ma che, d’altro canto, il pittore produce a sua volta ispirandosi anche a quei suoni) o dall’emanazione di profumi ed aromi da lui stesso composti.
Occorre vivere, sembra essere il pensiero di Matsuyama, il rapporto col presente con la consapevolezza del passato, poiché nulla èstatico e tutto si trasforma in un continuo moto, del suono, appunto, piuttosto che delle essenze o del tempo. I suoi quadri tendono a ram presentare, come giustamente propone Enzo De Martino, “visivamente le molteplici significazioni del (suono) che l’ideogramma (Shin-on) ha nella scrittura e nella cultura giapponese”:
ed ecco scaturire dalla tavolozza di Matsuyama opere dal significato intenso come “lì Suono del cuore”, “lì Suono nuovo”, “li Suono vero”, “lì Suono che cresce”, “lì Suono discreto”, “lì Suono del bosco”, “lì Suono fluttuante”, “lì Suono che avanza”, tutte evocanti dinamiche, seppure quiete e discrete, trasformazioni, sia la partecipazione attiva dell’osservatore-uditore per la captazione ditali mutevoli suggestioni. Per fare ciò Shuhei Matsuyama non esita a servirsi di stucchi, gessi, colore e carta giapponese che grazie alla sua fibra particolare, una volta sovrapposta alla superficie già trattata, ascia ora filtrare attraverso le sue maglie, ora catturare e comprimere sotto la sua consistenza, entità di materiale e colore producendo effetti cromaticamente ed esteticamente piacevoli. Dato questo sapiente utilizzo della carta di riso, essa può essere a buon titolo considerata non solo alla stregua del colore, ovvero materia prima per la produzione dell’opera, ma anche elemento essenziale per la rivelazione dell’immagine conclusiva, evidenziando in tale veste il secolare uso tutto nipponico di attribuire alla materia simboli e simbolismi collegati allo spirito ed al nostro io più recondito. L’effetto, dicevo, è nella globalità assai gradevole anche perché le difformi quantità di colore e materiali e la differente sovrapposizione creano effetti di penetrazione o di agglomerazione -scanalature e rilievi – che offrono una varietà estesa di tonalità a seconda dell’intensità e della natura della luce che colpisce il quadro.

di Silvia A. Ippoliti